Valeria Raimondi

Biografia 

Valeria Raimondi vive a Brescia e fa parte dell’Associazione culturale Movimento dal Sottosuolo. Nel 2013 cura il Festival Sconfina(TE)menti, gemellaggio con i poeti dell’Università di Kragujevac e nel 2016 viene tradotta insieme a Beppe Costa e Jack Hirschman per un progetto antologico italo-albanese presentato poi presso gli istituti universitari e culturali di Albania. Con Donne A(t)traverso propone il recital narrativo-teatrale sulle origini della violenza di genere: Prigioniere delle trame, liberate dalle Reti. 
Partecipa ad antologie tematiche sui temi dei respingimenti, delle carceri e delle guerre.
Una decina di inediti sono contenuti in Distanze, Fara Editore, 2018 e alcune invettive nella Gazzetta dei Dipartimenti del Collage de ‘Pataphysique. Una sua poesia è intro dell’album musicale dei DUNK. Nel 2011 esce la silloge poetica IO NO (Ex-io), Thauma ed. e nel 2014, Debito il Tempo, Fusibilia ed., opera vincitrice del Premio Eros e Kaìros. Entrambe saranno ripubblicate con Pellicano ed. Una decina di sue poesie sono tradotte nel 2018 in lingua portoghese e presentate a San Paolo del Brasile. A giugno del 2019 esce per Pietre Vive ed. La nostra classe sepolta, cronache poetiche dai mondi del lavoro, progetto che raccoglie poesie di una trentina di lavoratori e lavoratrici distribuiti su tutto il territorio nazionale; progetto presentato, sotto molte forme, in differenti realtà politiche, associative e culturali di molte città italiane.

Letture

Poesie

Colpevole di poesia
(per Angye Gaona)

Avevo solo le mie parole.
Ma le mie parole fendevano il ventre molle del potere,
così mi cucirono le labbra e mi vestirono delle loro colpe infami.
Avevo solo le mie parole, leggère
ma le mie parole facevano troppo rumore e coprivano i loro spari
quindi le imprigionarono dentro mura mute perché altri non sognassero con me.
Avevo solo le mie parole, crude
puntate sulla loro vergogna
ma le mie parole squarciavano il velo osceno,
e allora tagliarono la mano che impugnava la lama.
Avevo solo le mie parole, appena nate
che si alzavano in volo nella loro fetida aria,
allora mi tolsero l’aria,
mi rinchiusero affinché respirassi la loro.
Avevo solo i miei versi, liberi,
ma la verità si aggrappava come edera
ai loro piedi piantati nel fango
e divenni la più forte delle minacce
dunque misero a tacere me, la libertà e la poesia.
Avevo solo le mie parole innocenti, di poeta, di donna
ma poiché la poesia urla nel silenzio assordante
e come una donna può partorire figli e seppellire morti,
delle mie parole ebbero infine così folle paura
che me le ricacciarono in gola
e fui detta “colpevole”.
Ma non posso ancora tacere. Ho solo le mie parole, fatele vostre.
Perché si sappia di che stavo parlando.
Perché ho sempre detto solo ciò che da qui ho potuto vedere.

*

Angye Gaona: coupable de poésie
(con traduzioni Carole Goudard)

Je n’avais que mes mots.
Mes mots pourtant fendaient le ventre mou du pouvoir,
alors ils m’ont cousu les lèvres, m’ont vêtue de leurs fautes infâmes , de leurs habits crasseux.
Je n’avais que mes mots, légers
mes mots pourtant faisaient trop de bruit, comme des rêves en couleur, et ils couvraient leurs coups de feu
ainsi, ils les ont emprisonnés dans des murailles muettes afin que d’autres ne rêvent avec moi.
Je n’avais que mes mots, accablants
braqués sur leur honte
et mes mots déchiraient le voile obscène,
c’est alors qu’ils ont coupé la main qui empoignait la lame.
Je n’avais que mes mots, venant de naître
qui s’élevaient en vol dans l’air fétide
alors ils m’ont privée d’air,
et m’ont enfermée afin que je respire le leur.
Je n’avais que mes vers, libres
ma vérité pourtant s’agrippait comme du lierre à leurs pieds plantés dans la boue
et je devins alors la pire menace
ainsi, ils ont réduit au silence moi, la liberté et la poésie.
Je n’avais que mes mots innocents, de poète, de femme
mais comme la poésie hurle dans le silence assourdissant
et peut, telle une femme, accoucher d’enfants et enterrer les morts,
ils ont fini par avoir une peur si folle de mes mots
qu’ils m’ont déclarée « coupable » et ont voulu me les faire ravaler
Mais je ne peux me taire encore.
je n’ai que mes mots, qu’ils deviennent les vôtres.
Pour que l’on sache ce dont je parlais.
N’ayant jamais rien dit de plus que ce que d’ici j’ai pu observer.

 

io 2

 

A  woman guilty of poetry
(con traduzioni di Paul Polanski)

I had only my words.
But my words cut thru the soft womb of power,
so they sewed my lips and dressed me with their crimes of infamy.
I had only my words, soft
but too loud, like colored dreams and covering their lies
so they jailed them inside silent walls
so others could only dream with me.
I had only my words, cruel
pointed nakedly at their shame,
and when my words ripped away their obscene veil,
it was then they sliced the hand that held the blade.
I had only my words, just born,
that flew in their fetid air,
and it was then they took away my oxygen,
imprisoning me so I could only breathe theirs.
I had only my free words,
but my truth covered like ivy their feet in the mud,
and I became their worst threat,
so they silenced me,
my freedom and my poetry.
I had only my innocent words, of a poet, of a woman,
but poetry screaming in a loud silence,
and like a woman giving birth or burying dead,
they were so mad by my words I was considered guilty and
they wanted to put them back in my throat.
But I can’ t be silenced.
I have only my words, make them yours!
So that everyone will remember what I said
I only reported what I could see from here.

Per Egidia Beretta
(madre di Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza nel 2011)

Quante volte ho impastato lacrime e fiato
per metterti al mondo, una volta ancora, per sempre
Quante volte ho frugato nelle parole
o dentro i tuoi occhi così simili ai miei
Mille volte ho cercato ragioni
e scalato con rabbia le cime degli anni,
fino ai seni, fino al latte succhiato,
fino al primo, quella volta, tuo pianto,
a quell’ultimo che non ho consolato,
fino al piccolo dito che teneva il mio dito

Resta un po’ ancora mio:
ti insegnerò a legarti le scarpe,
il verso del lupo, a rialzarti se cadi
dimentica ciò che a Gaza hai imparato,
dimentica di essere troppo cresciuto

E ti prego sii tenero figlio,
indulgente verso l’urlo che lancio
alla tua stanza vuota,
qualche volta quando viene la sera

Adesso che altri ti toccano e invidio le loro mani,
il tuo amore per loro, il loro per te
mentre il mio lo sacrifico tutto,
mentre il mio ti pareva di troppo

Sii indulgente verso il pianto di madre, bambino,
che benedice la dissennata passione alla vita, alla pace,
il seme d’amore per Signora Giustizia
che dalla mia terra per te ancora fiorisce

Poeti e turisti *
Sarajevo, Incontri internazionali di poesia 2009

Ma quanto sono stronze le parole.
Turisti: non c’è mare né aria buona a Sarajevo,
solo bianchi cimiteri di collina con date tutte uguali
e figure trascinate piano alla preghiera.
Consapevoli: io non capisco,
non capisco la città,
temo ci colpiscano i cecchini da dietro la collina
mi pare di vederli giocare nella neve
ma forse sono… bambini.

Davvero io mi sporgo, mi agito, mi affanno
ma sono troppo distante, oppure non capisco.
Volteggio in questo finto autunno di polvere balcanica.
Martire città, ci provo ma non mi torna il conto:
che c’entra questo fiume rosso con l’altro rosso,
questa viva con l’altra carne sparsa,
con gli occhi buoni degli amici di là dalla collina?
No, non posso, da questa finta pace, da questa ignara parte
capire cos’è una guerra e dire chi sono le canaglie.

E noi che ci spostiamo,
suonatori e parolai,
con piedi ben piantati e passi di pianura:
ore 20, siamo sempre puntuali in via Maršala Tita
al Kamerni Teatar, 55 (benedetti dall’alto da Sarajlić)
Ed io con gli altri qui ad ubriacarmi di poesia
(Rakja che scalda il cuore),
tra gli echi degli spari cessati già da un pezzo
vorrei saperlo ora il punto di vista di Dio,
da quale parte guarda per giudicare il mondo.
Così io ora e qui,
io che non so nulla e muoio di poesia,
io qui sospendo tutto:
la rabbia ed il dolore
la verità e il giudizio.

*Ho partecipato alcuni anni di seguito agli Incontri Internazionali di poesia curati da Casa della Poesia di Baronissi, Salerno. Un autobus di “turisti e poeti consapevoli”, come veniva definito, partiva anche da Trieste viaggiando in piena notte. Così nacque questo testo.

Compagno

Non c’eravamo che noi stupiti sulla soglia
con bocche semiaperte, incredule preghiere,
la rabbia in pugno gettata nella terra
e un’alba nuova che ci tagliava il cuore.

Dicevamo -È lento il sonno della luna, e tu ridevi,
ché tu l’avresti detto meglio e si sapeva
che il mistero resta nel mistero,
che la vita infine è lotta,
ma giunge il tempo di saper lasciare la presa.

E che non siamo eterni, non siamo e non saremo,
anche questo te lo abbiamo lasciato dire,

ma oggi abbiamo nostalgia di quella forza quieta,
oggi che il vento rimbocca le coperte alla tua terra,
saluta la tua vita che si alza piano in volo
e svetta solitaria e certa come una bandiera.

Dispersione

E poi ci venne in aiuto una sola parola,
una scheggia di blu, una nota,
per appenderci lì come a un punto,
il punto di sella, la chiave di volta,
l’uncino che riaggancia un poco di senso
Ci venne in aiuto la dea della vividezza
e dell’ombra
-e della vividezza nell’ombra
Fu così che il tremore sottile,
l’incertezza primaria dell’essere,
ci consegnò alla natura che trattiene
nelle crepe il segno del suo antico marchio,
che bacia la fronte già umida e calda
per il parto di una piccola idea,
qualcosa che si dibatte
tra il nascere e il lasciarsi morire
– un sentire un po’ meno singolare,
l’orgoglioso commiato di un pianto ingoiato,
allenato a tutta la sua dispersione.

 

ricreazione

3 comentarios sobre “Valeria Raimondi

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