Biografia
Pina Piccolo è traduttrice, scrittrice, attivista culturale e coordinatrice della rivista di
letterature e culture dal mondo La Macchina Sognante. Dirige la rivista in lingua inglese The Dreaming Machine. Suoi saggi e scritture creative sono stati inseriti in antologie, collettanee e riviste di letteratura e accademiche sia di lingua italiana che inglese. Ha pubblicato la raccolta di poesia I canti dell’Interregno (Lebeg, 2018) e a ottobre 2019, sempre per Lebeg edizioni, è uscita la sua traduzione italiana del romanzo “Scomparso-La misteriosa sparizione di Mustafa Ouda”.
Letture
Poesie
Pterodattilo tatuato
A Carlo Giuliani, ragazzo
Prima ancora che crollino le torri:
Il millennio spicca il suo volo
Non sul far della sera
Ma mentre lo pterodattilo d’inchiostro
Sull’asfalto col ragazzo stramazza.
In Praise of Those Who Refuse to Suspend Disbelief
Not that they ever asked us
whether we agreed
to suspend our disbelief
they assumed we had done it
for so long
it had become our second skin
Not that they ever asked us
whether
we might have second thoughts
about us and our offspring
and the seven generations
staying in that scaly chrysalis
wrapped in our spit
and theirs
our wings never breaking free
condemned to the crampedness
of a still birth
*
In lode di chi si rifiuta di sospendere l’incredulità
Non che ci avessero mai chiesto
Il consenso a sospendere l’incredulità
Presumevano che avendolo fatto
Tanto a lungo
Ormai fosse diventata una seconda pelle
Non che ci avessero mai chiesto
Se
Potessimo avere qualche ripensamento sul doversene stare
Noi e i nostri figli
E le sette generazioni
Dentro quella crisalide squamosa
Ravvolti nella nostra saliva
E nella loro
Con le ali che mai si librano
Condannate a starcene qui rattrappite
come un bimbo nato morto.
Egg fragment
And it seemed to them that their world had cracked. Just like when you are all contained inside a thin shell, and up to then you thought the whole world was there. To you, it felt like a whole deep ocean, like the never-ending sea a herring might swims and swoosh around in; you were not even aware that your movement was cramped, you thought it was free. That’s all you knew from the beginning. True, those were really you circumstances when you were just a tiny embryo and the amniotic fluid felt and indeed was an enveloping vast ocean, with currents and a promise of islands your tiny self could only dream of. Though you had never really felt a breeze, from inside that thin shell once in a while you would hear faint noises from far away. Perhaps those tiny pores punctuating the shell allowed a sensation of wind to penetrate and you happened to be placed at the right angle to catch the whiff of the fragrances it brought.
So from inside your egg, you could occasionally sniff a larger world out there, but, in your hearts of hearts knew it wasn’t meant for you.
*
Frammento d’uovo
E il loro mondo sembrava si fosse schiuso. Proprio come quando si sta lì tutti contenuti dentro il fragile guscio convinti che fosse tutto lì, il mondo. Ti sembrava di essere in un oceano profondo, come quel mare infinito in cui nuotano e sguazzano le arringhe, non ti accorgevi nemmeno di quanto fossero angusti i tuoi movimenti, credevi di essere libera. Era tutto ciò che conoscevi, fin dall’inizio. Vero, quella era veramente la tua situazione quando non eri che un minuscolo embrione e il fluido amniotico lo sentivi-ed era infatti- un vasto oceano in cui era ravvolta, con le sue correnti e promesse di isole che solo il tuo minutissimo essere poteva sognare. Sebbene una brezza vera e propria non l’avessi mai avvertita, da dentro quel fragile guscio ogni tanto percepivi deboli rumori in lontananza e forse quei minuscoli pori che punteggiavano il guscio lasciavano penetrare un vago sentore di vento e ti capitava di essere collocata proprio al punto giusto per percepire una folata di profumo.
Quindi da dentro il tuo uovo potevi di tanto in tanto fiutare un mondo più vasto, lì fuori, ma nel profondo del tuo cuore sapevi che non fosse destinato a te.
The mother of invention
As she sat there unfulfilled
Under that fig tree
gratuitously cursed
For its barrenness
The mother stared at the well
The water reeked
And the pulley creaked
And the choice was not a good one
But then she remembered
The power in her cane
Then she remembered that
You can strike water
Like you can strike oil
Like you can strike gold
And guided by the drops
That plumped up her cells
Guided by a memory of jugs
Sitting on women’s heads
Guided by the waters that broke
Many years ago in her body
And those that flowed in her pleasure
She set off to re-invent
the necessity of change.
*
La madre delle invenzioni
Mentre se ne stava seduta lì
inappagata
sotto quell’albero di fico
indebitamente maledetto
per la sua sterilità
la madre fissava il pozzo
L’acqua puzzava
E la carrucola cigolava
E le scelte non erano per nulla buone
Ma poi le sovvenne
quel potere nella sua bacchetta
E ricordò che
si può scoprire la vena d’acqua
proprio come fanno per il petrolio
o la vena dell’oro
E guidata dalle gocce
che gonfiavano le sue cellule
Guidata dalla memoria di brocche
bilanciate sulla testa di donne
Guidata dalle acque
che le si ruppero molti anni prima
e da quelle che fluivano dal suo piacere
si mise all’opera a reinventare
la necessità del mutare.
Days of Smoldering and Incantations
Days of smoldering and incantations:
at the junction feet fail to lift
as you listen to the birds
crying out their tweets
and lizards lay glued
to steaming rocks.
Days of thunder at a distance
and sunspots issuing
a glowing motion
to continental drift
as the stuffed and the starving sit
waiting for the drone to strike
and deliver
fear into the soul.
*
Giorni che covano incantesimi
Giorni che covano incantesimi:
all’ incrocio il piede stenta a sollevarsi
mentre ascolti gli uccelli
strillare i loro cinguettii
e le lucertole se ne stanno incollate
a massi fumanti.
Giorni di tuoni in lontananza
e macchie solari che impartono
movimenti di brace
alla deriva dei continenti
mentre chi si abbuffa e chi muore di fame se ne sta
ad aspettare di essere colpiti dal drone
che consegni
la paura all’anima.
Avrei voluto essere patti smith
Avrei voluto essere
patti smith
Ciocche di grigio
ribelle
Indomito
viso scarno
La giacca
quella strapazzata
di Horses
che penzola
noncurante
da una spalla
E continuare a marcare
con il piede smilzo
quell’innata dissonanza
Ma la metamorfosi
che mi colpì
fu altra
Non quella che si abbatte
sulle dodicenni:
lo stadio della pupa
prosperosa
che si rigonfia
turgida di vita
Nell’età certa
delle comuni mortali
si crepa
il bozzolo
prolassando organi
facendo cedere il collo
stanco di reggere
il fardello dei neuroni
E il labbro non teme
di pronunciare
lame
La proteiforme gara
delle cellule
a incasellarsi
al tempo
mi assorella a Dafne
nella ventura
del glabro della pelle
che in scorza si tramuta
La venatura
del lapis lazuli
sulla gamba
mi coglie
impreparata
(per non dire
spaventata)
Ma del tempo mutaforma
bisognerà fidarsi
Nulla potranno
né la scaltra mano
del mercato
né l’esterrefatto
sguardo del confronto
al risvegliarsi
di quel recondito senso
che nell’età
si annida torporoso
sensibile alla musica
di distanti sfere
Settimo senso irrispettoso
delle estetiche terrestri
suddito solo
alla verità
che siamo un’unica energia
sprigionata da galassie lontane
Quindi attendo fiduciosa
che in una qualche dimensione
al mio io parallela
non mi sia negata
la gioia di poter ancora
essere patti smith
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