Francesco Giusti

BIOGRAFIA

Francesco Giusti (Venezia 1952) scrive poesie e disegna fin dagli inizi degli anni Ottanta. Ha pubblicato: “Accanto ai denti dell’eterno” (Di Felice, 2012), “De un dir apocrifo” (Campanotto, 2014), “E torna l’autunno” (The Writer, 2016), “Senza nome” (Campanotto, 2017). Ha inoltre pubblicato vari libri d’artista a tiratura limitata
e ideato le riviste “Venezia Undertide” e “Binario 17”.  Su di lui hanno scritto Paolo Ruffilli, Giorgio Agamben, Annelisa Alleva, Tommaso Ottonieri, Franco Beltrametti, Elenio Cicchini, Giulia Nicolai, Paolo Leoncini, Pier Franco Uliana.
I suoi ultimi libri sono: “Quando le ombre si staccano dal muro” (2019) edito per Quodlibet nella collana di poesia bilingue Ardilut, e  «Vivere di patate» (2021) per nottetempo edizioni.

LETTURE

POESIE

SULLA SOGLIA DI CASA


Chi sbatte la porta?
Chi viene a metterci gli occhi in casa?
Chi si è fottuto i fantastici pezzi di cielo
che si abbeveravano sovra pensiero
nella vasca da bagno? Uno se n’é andato
dabbasso mercanteggia da un marciapiedi
all’altro. Casa dopo casa si sente
l’odore del cielo che manca. Sentore di urina
sul tronco snello del pesco
rosa confetto ai bordi di un giorno fiorito.
Coniugazione di un sentimento. Sera.
E già’ sera quella cosa che assedia,
ma manca. No, niente sera sta sera
e la cosa si fa seria. Gioca con gli anni
al ristorante, le gambe stanche
sotto la tavola, compie gli anni
e spegne candeline la sera
questa sera.

PRIMAVERA


Gravitiamo
inabissati nella preghiera funebre
di quelli che ci hanno lasciato fiori
su gradini di altari perduti. E’ la notte
che ci costringe a passare accanto
alla bara sfacciatamente scoperchiata
che quelli con i simboli delle milizie tatuati
avevano abbandonato nel cortile, deserto
non più di quella volta che tu mi dicesti: Ciao.
Tra le timide fioriture di marzo
mentre in giro ancora si spara, magico
il vento si abbassa a salutarci
con piccoli colpi dove i tuoi occhi di vetro
cadendo toccarono terra evidenziando
le inginocchiate umide slab-
bratture del cielo.

DOPO LA PARTENZA


Cortesie e piedi di porcellana
il primo mattino a bordo. Ieri
giornata da dimenticare.
Gran vento e acqua facevano piccoli gli uomini
arrivando a secchiate sulle spalle ancora
capaci però di sostenere il rinculo del tempo. Fortunato
chi ce l’ha una casa, anche che tremino
di paura intensa i muri, anche se solo
nel pensiero. La parola
scivolata, rimasta.
Avrà il sopravvento sulle altre intrappolate
in bocca ai morti? ce l’avrà ce l’avrà… Ah, penso,
quel dentro fuori
fiato insepolto mentre
In disparte l’ombra fida e ispessita del cane, so,
fa il suo sotto il pitosforo. Tiene la posizione,
in una qualche misura bada
a quel poco che è molto
e zelante alla muta dimora.

BIMBI E GLICINE


Siamo gli allampanati, i pistilli
del glicine talvolta fatto cielo: Il ronzio,
attorno, dei bimbi sempre più consorzio,
quando ci succhiano dalle ossa zuccherine
il midollo. Il ballo di stagione
ogni volta così,
un giro più stretto, decreta
morte più dolce e snella, nella, spiccata
qua e là, dolcissima,
tormentata faccenda: capogiro,
tetto sopra le teste bionde
e leggere, in un batter d’occhio
nuvole azzurrarsi e sparire
pronte e lontane.

DA QUI SIAMO PASSATI

Ripristinati
nel recinto delle croci.
Nomi come altri sulle croci e nelle orazioni.
Bighellonavano, ma non era così, fermandosi
li nominavano e facendo questo li leggevano. Li compitavano
a lungo con le labbra cucite, come se dalla riva continuassero a farlo fin che trainavano il burchio. Direzione data – l’argine.
La casa dei vecchi, scrigno di anime fatte una.
Percorsi alterni ma per lo più no: pochi metri ancora,
poi grano di tutti e per tutti. In piazza
al centro dell’aiuola l’eroe fasullo
sembrava di bronzo, era di gesso. Sui comodini
nelle camere d’albergo,
candele al posto della luce saltata.
Giusto per dire come vanno le cose.
La voce del bimbo per esempio
sopra le altre, «Nonno, nonno – dalle
scale – il papà tornerà?»

.

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