BIOGRAFIA

Flaminia Cruciani, nata a Roma, vive fra Roma e Firenze. Laureata in «Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico», presso Sapienza Università di Roma, ha poi conseguito il Dottorato di Ricerca in «Archeologia Orientale» nella stessa Università, specializzandosi poi con un Master di II livello in «Architettura per l’Archeologia – Archeologia per l’Architettura» per la valorizzazione del patrimonio culturale. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo a Ebla in Siria, in qualità di membro della «Missione archeologica italiana a Ebla» diretta da Paolo Matthiae. Presso Sapienza Università di Roma ha tenuto annualmente corsi su “Il rapporto tra l’iconografia e il testo nella tradizione mesopotamica”, nel corso di Assiriologia di cui è anche cultore della materia. È consulente nell’ambito di diversi progetti archeologici dell’Università e del Comune di Roma e autrice di pubblicazioni a carattere scientifico. Collabora con la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico del Professor Lorenzo Nigro, presso Sapienza Università di Roma. Sta completando una nuova laurea in Storia dell’Arte, da triennale a magistrale, presso la stessa università. Si è specializzata, inoltre, in Discipline Analogiche, attraverso lo studio dell’Ipnosi Dinamica, della Comunicazione Analogica non Verbale e della Filosofia Analogica, conseguendo il titolo di Analogista. Pratica quindi una professione di aiuto per la lettura e la decodifica delle dinamiche emozionali profonde. Ha, inoltre, inventato il Noli me tangere®, uno strumento di aiuto fondato sulla metafora e sul potere evocativo delle immagini. In ambito poetico, nel 2008 ha pubblicato Sorso di Notte Potabile, ed. LietoColle e nel 2015 Lapidarium, ed. Puntoacapo. Semiotica del male, edito da Campanotto, è del 2016, mentre del 2017 è Piano di evacuazione, Samuele Editore. Chora, un libro scritto a due mani con Ilaria Caffio, con la prefazione di Carlo Pasi, Spagine edizioni, Fondo Verri è uscito nel 2018. Sempre del 2018èla sua antologia We were silent in the same language, con la prefazione di Marco Sonzogni, pubblicata da Gradiva Publications, New York. Una sua antologia personale di poesie tradotte in spagnolo è stata pubblicata in Spagna nel 2020: Callábamos en la misma lengua, Sonámbulos Ediciones, Granada. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Lezioni di immortalità, collana “Strade blu”, Mondadori 2018 (Premio Montale fuori di casa). Suoi testi poetici sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo, bulgaro, coreano, mandarino, arabo e rumeno e sono presenti in diverse antologie straniere. È regolarmente invitata ai più importanti festival internazionali di poesia in tutto il mondo. Ha rappresentato l’Italia al Medellin International Poetry Festival in Colombia nel 2018 e nel 2021. È giurato del Premio Montale fuori di casa, del premio «Fra gli ultimi del mondo» spin-off Premio Montale FdC e del Premio di poesia Don Luigi Di Liegro. È membro del comitato scientifico di Naxos Legge – Festival delle narrazioni, della lettura e del libro. È tra i fondatori e gli ideatori del movimento culturale «Poetry and Discovery». È membro dell’Académie Européenne des Sciences, des Arts et des Lettres di Parigi.
LETTURE

POESIE
Padre bosco che afferri i cieli
siano santificati il corbezzolo
il tiglio, la quercia e la conifera
venga il tuo regno abitato d’infanzia
sia fatto il conclave delle stagioni
come in cielo così in terra.
Dacci oggi le tue orazioni selvatiche
le liturgie botaniche
rimetti a noi la tua allegrezza sempreverde
le foglie talismani, i diritti della primavera
come noi li rimettiamo ai tuoi altari vegetali
e non ci sottrarre il tuo respiro di clorofilla
le arpe radici, i tuoi occhi fioriti
ma guarisci l’universo.
Amen.
(Inedito)

Nella prigione ad acquarello entra la luce
Gesù è in ginocchio a pregare verso la finestra
ma è di acquarello, fisso come un quadro.
Ho un senso di colpa dentro
è colpa mia se lui è in prigione
io l’ho relegato lì.
Ma lui non è arrabbiato con me
è in prigione perché quando c’era
non gli ho dato importanza
non l’ho riconosciuto.
Da Semiotica del male, Campanotto 2016

QUELLO CHE È MALE AI TUOI OCCHI IO L’HO FATTO
La pistola puntata in testa
mi chiedi di non guardarti in faccia
abbiamo scherzato
come il signore col servo.
Allora Tu sei sempre stata i miei occhi condannati
come una coda di cometa
e mentre mi inginocchio,
guardo il bracciolo della poltrona, penso
quanto ci metterò a tornare alla mia tenda con un colpo solo?
Coriandoli di carne come papaveri sul pavimento
la pace sarà radunata nella fortezza delle mie ossa
dispersa come sabbia in un numero di luce
e ogni cosa sarà posata in me.
Saprò il giorno tagliato d’invisibile
procurami un angelo per il mio grembo rotondo.
Poi penso a quel volto incappucciato come a un uomo
a lui che grida appena nato in braccio a sua madre
è la vendemmia dei girasoli all’inferno
il perdono è avverare l’aria.
In armature di padre in figlio
quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto.
Da Semiotica del male, Campanotto 2016

METAPOESIA
Stasera il sole non riesce a tramontare
è come un cappio di grano appeso agli occhi
ti tocco la schiena e t’inarchi
come un petalo al vento del mare
gli occhi calpestano l’infinito davanti.
Ti parlo come si dice un segreto
della mia fiamma a fiato in cui cerco la poesia
nascosta nella sua cripta di veli
delle mie mani stanche al lavoro
coraggiose e colme di parole ribelli
con cui estrarre il fuoco ogni giorno
di pensieri che crocifiggono e guardano verso l’alto.
Mi guardi e i tuoi occhi cambiano voce
mentre ci copriamo con il cappotto, vorresti consolarmi.
Ti racconto delle emozioni orfane
quando vogliono restare in versi
come offerte ostinate al tempio
di tentazioni che non danno anima né tregua
che portano all’inferno e
che non sono cifre, né figli, né case.
Ti parlo di sogni mescolati a diluvi
che vorrei fissare e fermare
di quando le parole non si aprono ancora
e sono vicoli bui, viaggi di sola andata
e a volte patti di bellezza definitivi
codici aperti di nuove resurrezioni
quando dimostrano galassie e fiumi
e il tempo predatore procede
a passi inginocchiati nella campana senza ringhiere
dove i pani tornano alla mia bocca colma di aprile
che bacia il tuo profilo contro il sole
sospesi sull’ala con cui ogni giorno provo
a innalzarmi oltre gli elmi degli angeli
come in cielo così in terra.
Da Callábamos en la misma lengua/ Tacevamo nella stessa lingua, Sonámbulos Ediciones, Granada 2020

QUANDO MI ABITARONO I VIVENTI
Quando mi abitarono i viventi
nelle doglie di Dio
e un coro di semi nella culla minerale
filava la mia pelle di tempoluce
quando mandrie di alberi mi correvano dentro
e l’alfiere sellava il fuoco indomabile
del mio regno smisurato,
nei solchi del mio corpo
un Santo rincasava la bestia
sorridendo nella mia bocca.
Da quale litigio di angeli
è parlata la mia voce levigata?
Quale funambolo sta in equilibrio
sul mio cordone ombelicale?
Chi è in pellegrinaggio nel mio passo?
Un esercito appicca visioni spiritate nell’ippocampo
e un naufrago sulle rive della mia assenza
sta sognando la mia vita adesso.
Ci incontriamo talvolta io e il guardiano della mia vigna
quando ara più gioia di quella che possa contenere,
mentre un centauro con l’arco di marmo
tira al bersaglio con il mio cuore.
A volte le mie mani sono zampe che
artigliano gli infiniti e
una delle cento respira la mia clessidra
e scrive le litanie dell’acqua,
mani vedove in me scavano volti e seppelliscono idoli
fino a quando le leggi intere avvolgeranno
le conifere della memoria
e tutte le mie creature corpo a corpo
precipiteranno in una, sbucciando il buio.
In un’unica somiglianza disarmerò il destino
sarò spoglia, costola di verbo,
vertebra di saliva, muscolo di vento.
Non mi basterà l’eternità per capire chi,
assassini o sirene, corsari o beati hanno
cantato, vissuto, ballato e
amato al mio posto,
nel mio petto maiuscolo,
quando mi chiamavano viva
mentre io continuavo a morire.
Da Callábamos en la misma lengua/ Tacevamo nella stessa lingua, Sonámbulos Ediciones, Granada 2020

Udite voi
che vi innamorate di patti crudeli
io traboccavo di verità che imparai a tacere.
Udite voi chiunque voglia i vostri timpani
e vi tolga le acrobazie voglia in dono
i pianeti della vostra pazzia voi tornate
a pettinare il tempo e fate presto a morire.
Io partorirò una nuova madre
mia madre e sarà solo una voce
una sola voce come parola d’ordine
senza bocca racconterà
dei chiodi cardiaci
delle radici guelfe dove
l’estate sbrinava l’acquasanta.
E le rughe della grande madre saranno le mie
il suo morbo vistoso sarà il mio
e il suo torbido sarà la mia perfezione.
E l’amerò, ci ameremo come si ama nel sonno
e mi metterò nella bara al suo posto
per lasciarla vivere
senza sforzo saremo una monade
e l’amore plurale ci invecchierà le mani.
Da Callábamos en la misma lengua/ Tacevamo nella stessa lingua, Sonámbulos Ediciones, Granada 2020
