Luciano Cecchinel

BIOGRAFIA

Luciano Cecchinel è nato a Revine-Lago (TV) il 15/6/1947. Laureatosi presso l’Università di Padova,  è stato insegnante di materie letterarie e ha pubblicato articoli e studi sulla cultura popolare e le raccolte di poesia Al tràgol jért (I.S.Co. 1988 – Scheiwiller 1999, con postfazione di Andrea Zanzotto), Lungo la traccia (Einaudi 2005), Perché ancora / Pourquoi encore (Istituto per la Storia della Resistenza di Vittorio Veneto 2005, con traduzione di Martin Rueff e note dello stesso Rueff e di Claude Mouchard), Le voci di Bardiaga (Il Ponte del Sale 2008), Sanjut de stran (Marsilio 2012, con prefazione di Cesare Segre), In silenzioso affiorare (Tipoteca Italiana Fondazione 2015, con prefazione di Silvio Ramat e 6 acquerelli di Danila Casagrande), Da un tempo di profumi e gelo (LietoColle 2016, con postfazione di Rolando Damiani) e Da sponda a sponda (Arcipelago Itaca, 2019). Del 2018 presso Marcos y Marcos la sua prima prova narrativa dal titolo La parabola degli eterni paesani. Sulla sua produzione, oltre ai prefatori e postfatori, hanno scritto fra gli altri Franco Brevini, Mario Rigoni Stern, Clelia Martignoni, Massimo Cacciari, Rodolfo Zucco, Pier Vincenzo Mengaldo, Pietro Gibellini, Goffredo Fofi, Cesare De Michelis, Giorgio Agamben.

LETTURE

POESIE

Obiezione di morte

a Franz Jägerstätter,
contadino austriaco obiettore di coscienza
fucilato dai tedeschi nel 1943

Non hai libri e lapidi
come ardito milite
tu, che per geometria mite
di attrezzo di campo
prendesti Cristo a diritto
e piuttosto che uccidergli contro
sapesti morire di fronte al tuo sangue
per mesi istante su istante.

Ma così, quasi per invisibile
immenso utensìle
issata accanto al Signore,
come una sorgente
da una parete di ghiaccio
la tua innocenza ancor sfolgora
fragorosa oltre tutti i silenzi,
entro ogni ombra e paura.

Quaggiù nell’affanno
di crepe terrose,
quando abbagli
da guglie in candore
e assordi per scrosci erti,
umiliati noi a perdonarti
di quella tua vertigine pura
che ci fa infimità oscura.

Nota

Il 9 agosto 1943 il contadino austriaco Franz Jägerstätter, cattolico ed obiettore di coscienza, fu giustiziato dalle autorità militari tede¬sche quale «nemico dello stato», perché aveva ripetutamente rifiutato di prestare il giuramento militare per non combattere in quella che egli dichiarava essere una «guerra ingiusta». Aderì a questo credo contro ogni obiezione possibile non solo da parte dell’esercito e dello stato, ma anche da parte dei suoi compagni cattolici, del clero cattolico e naturalmente della propria famiglia.
Doveva praticamente controbattere ogni argomento «cristiano» mosso in favore della guerra.
Fu trattato da ribelle, da disobbediente all’autorità legale, da traditore della patria. Fu accusato di essere egoista, ostinato, di non considerare la sua famiglia e di trascurare il proprio dovere verso i figli.
Il contadino non si arrese ad alcuno degli argomenti che gli venivano opposti.
Ripetuti tentativi per salvarlo furono fatti non solo dai suoi amici, dai preti e dal suo avvocato, ma anche dai giudici militari (egli non era nelle mani delle SS). Avrebbe potuto evitare l’esecuzione se avesse accettato di servire come combattente nel servizio di sanità; ma egli riteneva che anche questo sarebbe stato un compromesso, perché la sua obiezione non si limitava solo al fatto di uccidere altri uomini, ma anche a quello di salvare la propria vita ammettendo implicitamente che il nazismo fosse un regime legittimo, che faceva una guerra giusta.
Pochi minuti prima della sua esecuzione, Jägerstätter rifiutò ancora tranquillamente di firmare un documento che lo avrebbe potuto salvare.

(da Fede e violenza di Thomas Merton)

Tema sulla Resistenza

A Federico Grava (Deri), scomparso a Mauthausen

Nel cimitero dove coi nonni “dorme”
-scrivi tu, giovane allieva,-
lo zio partigiano ma sulla sua lapide
caduto per la libertà della patria
e poi solo dei puntini…
chissà quando, dove, forse
trattato peggio di una bestia, lontano
dalla mamma, dai ricordi di bambino.

Per quei puntini tuo zio non è
in quel cimitero.
Fu in un luogo il cui nome era destino.
Sì, peggio di una bestia, lontano
dalla mamma, dai ricordi di bambino.
Ma di più tu ora sei,
sarai segno di lui
di cui non si trovò traccia oltre quel nome.

Nota

Federico Grava (Deri), catturato a Milano alla fine di marzo del 1945, fu inviato al campo di sterminio di Mauthausen. A guerra finita di lui non si trovò più traccia.
La prima parte del testo è costruita su estrapolazioni da un elaborato scolastico della nipote Teresa; il cimitero cui si fa riferimento è quello di Revine.

Entro le pietre di Treblinka

Nella nenia ebraica vicino un tonfo
un corpo un volto femminile
lo stupore del male
le labbra i denti a sanguinare.

Poi il pianto silenzioso
il corpo a raggrumare come un feto
entro la pietraia
sfinito il dolore del mondo.

Ammutolirono
poi corsero verso di me
che la reggevo i pellegrini
presero come loro quel dolore.

Nota

Il campo di sterminio di Treblinka, distrutto prima del suo abbandono dai nazisti, è stato visivamente recuperato attraverso la dislocazione di pietre: le più grandi indicano il recinto del lager e il tracciato della ferrovia che vi entrava, le più piccole ricordano i trucidati e le varie città europee da cui erano stati deportati.
Il testo è ispirato ad un episodio accaduto durante la visita al campo mentre era in corso la cerimonia di suffragio di una comitiva israelitica.

Nel bosco di faggi

A ciascuno il suo

Col vento senza memoria
dai reticolati ossuti
ancora stille di cenere
sopra i basamenti neri
e poi ringhi come di cani furiosi
entro grate scabbiose di ruggine.

Qui a ciascuno di voi che faceste
del pensiero un vestito di morte
la sua razione di orrore,
di fame, di gelo,
il suo ultimo colpo, il suo uncino,
il suo rimasuglio esalato di fumo.

Ora non più gridi e versi
sfiatati di cavalli cantanti,
non più sforzi per pace di morte
per voi trasparenti
in nebbia di pioggia,
in lana di nubi.

Qui a ciascuno di voi il suo sospiro,
il suo silenzio, il suo cielo,
spiriti che vagate nell’aria
verso il piano celeste lontano
ripensando al lavoro del fumo
nell’abbandono dell’uomo, di Dio.

Da voi senza più bisogno
di preghiera e elemosina
noi pellegrini ansiosi di angoscia
ognuno a mendicare
il suo po’ di cuore,
di fame d’amore.

Note

bosco di faggi: a Buchenwald, campo di sterminio sulle colline nei pressi di Weimar, furono eliminati soprattutto gli uomini della Resistenza tedesca.

per ciascuno di voi: il cancello d’ingresso del campo reca la scritta “JEDEM DAS SEINE” (“A ciascuno il suo”).

il suo ultimo colpo, il suo uncino: nel campo non furono usati i gas asfissianti. Gli internati venivano uccisi in uno scantinato-mattatoio e quindi portati con un montacarichi al reparto dei forni crematori.

cavalli cantanti: per i prigionieri, costretti a trascinare cantando un carro carico di pietre, era stato coniato dagli aguzzini il nomignolo di “singende Pferde”.

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