Anita Menegozzo

Biografia

Anita Menegozzo. Vive a Venezia. Inizia a scrivere poesie dopo la diagnosi di una malattia neurodegenerativa. Ne trae grande supporto morale ma non solo. Raggiunge una certa notorietà e trova una propria via espressiva classica eppure originale. I temi non indulgono mai  al sentimentalismo ma esplorano ogni dimensione dell’ umano sentire.

Purtroppo con il passare del tempo perde la dimensione familiare che peraltro non era troppo compatibile con quella poetica. Ciò renderá via via più ardua per lei sia l’esistenza che l’espressione in versi. La ricerca è soprattutto filosofica nei contenuti e sonoro ritmica per quanto riguarda la forma.

Attualmente in stampa la sua quarta raccolta.

 

Letture

Poesie

 

DI COSA

Di cosa siamo fatti

se non di mani tese a fuochi accesi?

Da innata nostalgia dell’esser figli

più che dall’impazienza di esser padri.

Di cocci in cui sbollire i nostri slanci

Di guerre danze e cori

per non sentirci soli.

LA PESA

Nel giorno delle anime alla pesa

si dice conteranno solo  i  sogni

Quelli arenati o spenti fra gli scogli

o trasformati in calli disillusi

Ogni battaglia dove la  sconfitta

non ci portò alla resa

Ogni protesta o sfida

che ci fruttò una piaga una ferita

Ogni gratuita offesa

ogni mai spenta sete di giustizia

 

Addosso per coprirci neanche un velo

solo una piuma a far da  contrappeso

CRISTALLI

Vorrei  di noi  reciproci cristalli

radicar forti a  madreterra stretti

intrapide correnti incontro ai massi

e i giorni come foglie come figli.

Li culleremo entrambi

làddove lievi dondolano i ragni.

 

TARLO

Capita percepisca

di tanto in tanto, netto ma impreciso,

lo stampo di un’idea e la sua mancanza

il calco di un istinto

di cui non ho sapienza

E’ un lutto derivato da un’assenza

una vergogna scevra d’ogni colpa

Suppongo abbia attinenza col tormento

che un qualsivoglia dio dell’universo

nell’intimo comporta.

Alludo al dio distratto in cui dispero

che esiste grazie al dubbio che ne serbo

su cui non ipotizzo per rispetto,

ma che mi rode dentro,

preciso ed accanito come un tarlo.

Eludo quindi ogni ragionamento

né mai mi illuderò di definirlo.

Andare  oltre il silenzio

varrebbe a profanarlo.

 

SEMPRE NUOVO

Chissà se è più un tuo sogno o  più il mio corpo

quel piede che ti sfiora pinneggiando

strappandoti a quel tuo letargo d’orso

sul fare del mattino,

ma è tuo quel morso a forma di sorriso

che sento forte e chiaro dietro al collo

e tutto il di lì a poco

si intreccia in un groviglio

per quell’antico giuoco

più scappi più ti piglio

purché tu mi raggiunga dove fuggo

Il gioco sempre quello e sempre nuovo

come se lo inventassimo qui adesso

Due fiati un solo ritmo un solo buio.

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