Jacopo Terenzio, pittore, poeta e altro. Ha iniziato a fare e vivere la poesia alla metà degli anni ‘80. Molte le mostre, le letture, le presenze e le pubblicazioni. Con Poesie senza data (2013), Malamore (unico romanzo finora pubblicato) ed altri testi, ha iniziato un percorso ricognitivo con una poesia attrezzata ai nostri tempi complessi e a volte in-codificabili, alla ricerca di una consapevolezza sempre più spesso assente.
Resta, tra i suoi tracciati, una vaga leggenda di cui lo stesso è stato fautore più o meno consapevole tra carte magiche veneziane e performance per la difesa dell’ambiente molto, molto, molto prima che diventasse dramma quotidiano. In rete, un ritratto affettuoso, intenso e vero, L’elogio di Narciso, pubblicato da Ytaali e ArtApp, ce ne riconsegna fedelmente l’immagine e ha sostituito da tempo i suoi documenti ufficiali.
Poesie
Ti lascio una poesia
Ti lascio una poesia, inutile come la poesia
ma indispensabile a giustificarsi,
che è una frase grossa,
ma che suona bene a chi lascia qualcosa.
Ti lascio qualcosa che vuole dire poco,
come tutto quello che è stato lasciato,
che non assicura né rassicura.
Ti lascio lo spossessamento,
perché io sono stato ciò che è stato.
Tutto è confuso e incompleto,
mentre ti lascio una poesia da rileggere,
da dimenticare,
da buttare,
da riprendere,
da usare per sedurre,
da appoggiare da qualche parte,
prima di un silenzio,
di un incontro,
prima di uscire, al buio,
perché non riesci a dormire.
1 maggio 2019
I nostri mostri
Non è colpa
delle fiction,
né dei loro attori
che si danno da fare,
ahimè,
né della musica
scomparsa
dalla nostra vita.
Non è facile
vivere
senza belle canzoni.
Né è facile
trovare buoni libri.
I vecchi
sono fuori catalogo,
e i veri scrittori,
ormai cenere,
racchiusi
in splendidi coccodrilli.
Come si fa a vivere
senza chi
può farci sognare ?
E i poeti, già,
parlo di quelli veri.
Della poesia.
Una malattia terminale,
infinita,
di infinite morti,
apparenti e dolenti: sterminate,
vanesie e necessarie.
Non è colpa di nessuno,
alla fine,
questo niente ciclopico.
Questi segnali
da un encefalogramma misterioso,
che sembra piatto,
sembra,
che si rituffa,
mai lasciando un momento,
né una sosta,
un pensiero,
per fermarsi a pensare.
Il cigno nero
Tra l’uomo
e la donna
tutto è stato reciso
per destinarli
a un faticoso
gioco,
stridente e glaciale,
come gesso
sulla lavagna.
Eppure
vorrei ancora
aspettarmi qualcosa.
Sarai tu,
inattesa giù attesa
nel vento,
col vento,
leggera,
a spararmi in faccia,
proprio ciò
che non avrei voluto.
Dubbio gusto,
eccessivo,
si sporca.
Ma come ogni rituale
ci si piega
alla vita banale
e come si diceva,
avere aspettative
chiede un prezzo
anche se
non vorrei mai
lasciarmi alle spalle
qualcosa fuori posto.
E’ un rispetto per gli altri,
maniacale.
E poi mi sveglio,
e non so
più,
se deluso,
liberato
o nuovamente
in attesa.
Quando nella ventunesima centuria
Quando i film
sono tutti finiti
e i registi
tutti morti,
come al solito
restano i poeti
che si limitano a sentire.
Il che vuol dire
una infinità di cose
da tenersi strette,
chiudendo gli occhi,
pur pensando,
e quindi
conservando un dolce dolore
che è l’intimo umano.
Quando i film sono tutti finiti,
come al solito
restano i poeti,
una rassicurazione
e un pericolo,
Come quelle rivoluzioni
che si aspettano sempre.
(5 maggio 2020)
Ombre
Ma rispetta il tempo,
senza mettere date.
Non dire mai
“era una vita fa”,
perché non è vero.
Un tempo, lo era,
lo è stato,
e tu
non puoi ingannarlo
o continuare a barare.
Ombre mormoranti
ci accompagnano
a ogni fine giornata
e a qualcuno, a qualcuna
quella vita è appartenuta,
e ogni tanto brucia.