Biografia
Benny Rullo Nonasky. Nato in Calabria (1987) ma da alcuni anni residente a Moncalieri (TO). Finalista e vincitore di diversi premi letterari, sia nazionali che esteri, tra cui: il primo premio del “Premio Internazionale di Poesia, Poseidonia-Paestum”; finalista al 50esimo Festival di Poesie d’Atene. Presente in diverse antologie italiane: Fili di Parole, G. Perrone Editore; Sotto il cielo di Lampedusa, Rayuela Edizioni; La nostra classe sepolta, cronache poetiche dai mondi del lavoro, Pietre Vive Edizioni. Performer con letture poetiche in diverse manifestazioni in Italia: Festival Internazionale di Poesia a Genova; Poesia a Strappo a Crema; Paratissima a Torino. Scrive per diverse riviste letterarie online tra cui: Nazione Indiana, Carteggi Letterari o Versante Ripido.
Ha pubblicato: La città delle mosche (Gilgamesh Edizioni, 2017); The tears of things (antologia poetica tradotta da Jack Hirshman, Berkeley Ca, 2013); Imàgenes Trasmundo (Albeggi Editore, 2012); Vestito a nozze, carne e trenta lamette (quaderno poetico, GDS Edizioni, 2010); Nelle trasparenze caotiche di nuvola perpetua (silloge, Edizioni Montag, 2009).
Letture
Poesie
.Il grande incendio al pozzo di petrolio.
Non so se sia possibile leggere ancora
ma c’era un trafiletto il giorno ieri
che annunciava finalmente
l’estinzione d’un incendio in corso
da cinque mesi in un pozzo di petrolio
nello Stato dell’Assam, in India.
Non è un evento eccezionale.
Quando Saddam Hussein incendiò
i pozzi durante la ritirata dal Kuwait
le fiamme avvolsero il deserto per mesi.
Il fumo nero soffocava ogni orizzonte.
Un mare di sabbia di fumo e nero.
Allora mi sono sdraiato, quasi scaraventato,
e ho immaginato me pompiere
per cinque mesi alle prese
col grande incendio; quasi scaraventato
nel mare di fuoco di fumo e nero.
Ero solo tra le spire infernali.
Il mostro ogni tanto mi sferzava il volto
e più pompavo acqua e più rideva
e più rideva e più le fiamme crescevano.
Il pozzo mi accerchiava.
Gente in auto mi passava accanto
suonando il clacson. Incitandomi.
Io l’invitavo ad allontanarsi. Chiedevo aiuto.
Ma loro applaudivano e sorridevano.
Non so se a me o al grande incendio.
Ho guardato oltre la finestra.
Il cielo era stelle tiepide
dopo un’altra giornata di sole.
Ho pensato: non piove quasi più.
La gente è felice.
La gente ama morire di caldo.
Forse dovrei lasciare bruciare l’intero Assam
e la Siberia e ogni foresta primaria.
Maggiore spazio ai pozzi di petrolio e poi
dargli fuoco, uno ogni cinque mesi,
mentre io alzo il condizionatore dell’aria
che la notte non riesco più a dormire.
.Plutone.
Sul soffitto della Terra
c’è un uomo che guarda le stelle.
Lui brama le stelle.
Misura la loro libidine
e quando una scia
squarcia il nero dell’impossibile:
tira la lenza,
impugna il retino:
lui colleziona stelle.
È il più grande collezionista di stelle.
Da millenni; ne ha un giardino pieno.
Si siede. Guarda. Attira.
Ascolta il deserto che ne consegue –
lui lo sa –
l’uomo è un sintomo del silenzio.
Implica un passaggio.
Devia la natura delle cose.
Torna sempre sconfitto
da un amore che non sa apprezzare.
Quell’uomo conosce la fine del suo cuore.
Si alza sul soffitto.
Spara un altro colpo.
Impugna il retino.
Impugna la notte.
Aspetta la morte.
Lui colleziona stelle.
.L’assolo del mare.
Leviga il mare i confini della terra.
Come plastilina plasma la costa
ed è un riassunto del mondo
la nave che divide l’orizzonte –
e se il celeste fosse un sintomo
sarebbe la dicotomia della vastità:
la religione del cielo,
l’insensatezza del materialismo umano.
Quindi fa cra-cra la rana
e mentre il cuore rotola nel buio della corrente,
ci sono stati giorni carichi di sangue e paura,
il suono delle fanfare argomentava
la sensazione di disagio, la cella
si riempiva di bambini in marcia.
Ma nessuno. Nient’altro che buio.
Sì: leviga il mare l’assenza di pace.
Dove siamo stati ci siamo ritrovati.
Facciamo i conti, contiamo i nostri baci
perché non è mai abbastanza,
abbastanza la vita, abbastanza i campisanti,
la voce della luna tra i corpi assopiti.
.Forse le tue labbra non dicono.
Forse le tue labbra non dicono
il cuore, incedere di passi
sta salendo
va su
I coriandoli dalla tua bocca
Sono in festa
permanente
Forse non bisogna dire
è un vicolo cieco
la rete assorbe
stiamo precipitando
dove/quando
Se nel tuo tenero ondulare
l’oscillazione molecolare
non sentire
sbattere
e non sentire
Forse lo hai detto
sono io il cranio rotto
sono io il cielo scomparso
Io
Non dovevi dire niente
non l’hai fatto
e non siamo sommersi
(legano cose in noi,
cose che vogliono noi)
e siamo invincibili.
.La dimensione.
Catalitica la notte verso cui andiamo.
Dirimpetto ai mostri nel cervello,
catalitica la notte verso cui andiamo
pregando una luna alogena
come tracce d’un perdono –
le mani congiunte esalano gas
che ci fa morire dal ridere.
Ridono i pacchetti volanti di Crick Crock.
Ridono scuri elefanti petroliferi all’orizzonte.
Ride pure il piombo nella corteccia prefrontale1.
Da lontano.
E mai così vicino.
Catalitica la notte e tonnellate
di auto in coda per un Big Mac
verso cui andiamo, pregando,
mentre radice vergine
sgorga dall’asfalto.
<<Vuole vivere! Vuole vivere!>>,
gridano le rondini dall’alto.
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